Ci sono angoli di paradiso anche nell’inferno della guerra e uno di questi si è manifestato in una giornata di fine estate, forse gli ultimi di settembre o l’inizio di ottobre, del terribile ’44. Il protagonista si chiama Martin Adler originario del Bronx neyorchese, ma figlio di immigrati ebrei ungheresi.
In un giorno di combattimenti lungo la Linea Gotica, tra le valli del Santerno, dell’Idice e del Sillaro, Il soldato addetto all’armamento pesante al servizio della 85 divisione alleata, entra in un villaggio appena abbandonato dai tedeschi in ritirata. Cammina guardingo assieme a un compagno nel timore di un’imboscata. S’infila in una casa col mitra spianato e il dito sul grilletto, scrutando in ogni angolo. A un tratto, nell’oscurità, sente dei rumori dentro una grossa cesta.
Punta il mitra, ma lo ferma una voce di donna che grida: “Bambini! Bambini!”. Dopo pochi secondi, dalla cesta spuntano tre teste: due bimbe e un bimbo di pochi anni. Adler e il compagno si mettono a ridere. Chiedono di scattare una fotografia coi piccoli e la madre acconsente solo dopo aver ottenuto il permesso di vestirli con gli abiti della festa. Riguardando quella foto di lui ventenne in divisa attorniato dai bambini, Adler ha espresso il desiderio di ritrovare quei bimbi in un abbraccio tra vecchi 76 anni dopo.
Per tramite della figlia Rachelle e dello scrittore reggiano Matteo Incerti, l’ex militare, che ora vive in Florida e ha 96 anni, ha lanciato un appello agli abitanti delle valli dell’Appennino tra Bologna e la Toscana affinché possano rintracciare i piccoli protagonisti di questa storia che ha i contorni di una favola. Il messaggio sui social è diventato virale con oltre 700 condivisioni e centinaia di risposte. Una mobilitazione necessaria e a largo raggio perché Adler non ricorda precisamente dove fosse la casa del miracolo. Sicuramente nella zona del passo del Giovo, ma forse già in territorio bolognese tra i paesi di Quinzano, San Benedetto del querceto, San Martino o Monterenzio.
“Fu il momento più bello che ricordi di quell’inferno chiamato guerra” ha scritto Adler nel messaggio spedito dalla figlia. Un inferno che ha coinvolto appieno la famiglia del soldato statunitense. Il padre Heindrich combatté la prima guerra mondiale dalla parte austriaca contro l’Italia restando ferito e mezzo asfissiato dai gas. In seguito, in quanto ebrea, metà della famiglia venne sterminata nei campi di concentramento nazisti. Ma proprio per rivivere quello sprazzo di umanità vissuta sull’Appennino, ora Adler ha il desiderio di ricongiungersi coi bimbi della cesta.
“Appena cesserà la pandemia – scrive ancora tramite la figlia – vorrei riabbracciarli se sono ancora vivi”. Dopo 76 anni si tratta di un desiderio consegnato all’alea del destino. “Proviamoci – scrive ancora Adler – sarebbe una favola di Natale ritrovarci tutti assieme”. L’ex militare, malgrado l’età, è ancora in discreta forma anche se cammina aiutandosi con un ausilio. L’altro testimone dell’apparizione della cesta purtroppo non c’è più. Si chiamava John Bronsky ed era di Philadelfia. Entrambi, in quella fine estate del ’44 tirarono un sospiro di sollievo quando tolsero il dito dal grilletto del mitra Thompson.
“Avevamo paura – ricorda – ed eravamo sul punto di sparare temendo l’agguato di un tedesco. Se l’avessimo fatto non ce lo saremmo mai più perdonato”. Poco dopo una scheggia di mortaio lo ferì al naso costringendolo al ricovero nell’ospedale militare di Napoli.
Tornerà in prima linea nel marzo del ’45 per vivere la liberazione del Paese. Ma ora la missione è ricongiungersi con quei bimbi che ravvivarono la speranza nell’umanità.