TRENO MILANO-NAPOLI C — Ciao Milano, noi ce ne andiamo dalla mamma, dalla nonna, dagli zii, vogliamo un Natale tranquillo sobrio e santo, anche dimezzato triste e casalingo purché sia un Natale, e tanto meglio se c’è la pizza con la scarola. Si aspetta in silenzio il treno che porta a sud, in Centrale non c’è aria di festa, ma militari e poliziotti severi, pochi viaggiatori, e si fissa ipnotizzati la pubblicità della Regione Sicilia: “Tuffatevi nell’azzurro”. Sotto le volte altissime si è infilata la nebbia, nessuno ha pacchi regalo, orsi di peluche giganti, casette di Barbie, piuttosto il trolley e il computer.
Non si parte cantando. Muti e sparpagliati, arriva l’Italo per Roma e Napoli delle 9,15, l’anno scorso si arrembavano questi stessi treni, a marzo si assaltavano i convogli per fuggire dal nord zona rossa. Adesso niente, a parte una rissa tra cani all’altezza del binario 12. E che ci fanno qui tutti questi cani? «Saranno vacanze lunghe, non potevo lasciarlo solo», dice una con cane di razza incerta che non vuole andare a Napoli, punta le zampe e ringhia alla scaletta. La signora spiega di aver perso il lavoro, «prima avevo il dog sitter, ora non me lo posso più permettere. Milano è cara, anche se c’è la crisi». Barboncini, meticci, un pittbull, più alcuni gatti ingabbiati, questi ultimi treni sono arche di Noè, si chiude casa e si parte con tutti gli affetti compreso il criceto Liù, che lo studente del Politecnico Luca si era comprato per compagnia nel lockdown: «Mi ha salvato dalla depressione, non lo lascerò mai più».
Allora, siamo diventati tutti più deboli, sentimentali, tristi? «Io ho imparato a vivere ogni momento come fosse l’ultimo. Il virus è subdolo, non abbiamo certezze, dobbiamo essere cauti… e poi, vede voglia di festeggiare?». Davanti alla macchinetta del caffè – intanto si è a Reggio Emilia, fuori c’è ancora il nebbione – Paola D’Angiolella indica la carrozza 3, un posto occupato e uno no, molti i giovani, semi addormentati. Una signora impettita, un tizio che fa le parole crociate. Manco uno che telefoni ad alta voce per raccontare a qualcun altro che stiamo filando a 300 all’ora, siamo a Reggio Emilia e c’è il nebbione. E così in altre carrozze, i telefonatori molesti sono spariti, «è un’Italia triste. Siamo come intimoriti». Paola ha 30 anni ed è farmacista, lavora in un’azienda a Milano, fa ricerca, ringrazia «di avere ancora un lavoro, ma quanti l’hanno perso. E chi ha un negozio chiuso, cosa farà? È angosciante».
«Io torno a casa contento. Casa è casa. Famiglia è famiglia». Vincenzo Lupoli, 22 anni, studente convinto che sia «necessaria la previdenza sociale». Ci spieghi. «I napoletani sono esuberanti, nelle feste. Ma quest’anno noi giovani dobbiamo pensare agli altri, ai bambini, agli anziani. Se non parte da noi, questa consapevolezza…», avremo feste e veglioni clandestini, nuovi focolai, la terza ondata che già incombe come una nuvola nera soprattutto sulle teste di chi ha vent’anni. Vincenzo ha amici «chiusi in casa per settimane. A uno ho detto: non sei malato di Covid, ma di sociopatia. C’è sconforto, incertezza, lo sento intorno a me, ma resisto».
Come un bambino, elenca i Natali passati, quando «la Vigilia, a pranzo, si facevano le pizze. La cena, spaghetto con le vongole. Natale: carne. Santo Stefano: capretto. Il 30, pizza. Il 31, cenone di pesce». Epifania? «Lasagna!». Ma «allora, ed era solo l’anno scorso, eravamo insieme, una trentina tra zii e zie, cugini e nonne. Noi dobbiamo stare attenti soprattutto con nonna Anna che ha 86 anni». I Lupoli faranno pranzi piccoli, e così l’attrice Valentina, che torna a Roma, e intanto si viaggia attraverso altra nebbia toscana, tra campi che fumano, un cacciatore con il cane, una vecchia casa con un vecchio addobbo: UON ATALE.
Sarà un Natale zoppo come quella scritta, «ma si va avanti. Sono favorevole ai blocchi, se la gente è stupida il governo deve intervenire da buon padre di famiglia». Valentina si è lasciata alle spalle una città che l’ha spaventata, «quanta gente in Duomo, sono scappata». Torna a casa da marito e figlia, ha comprato a Chinatown i biscotti della fortuna da aprire in tre, l’ultima notte dell’anno. E che anno sarà? «Andrà bene, lo sento», forse lo sente chiunque abbia figli e piccoli, «combatto lo sconforto, ma io, classe media benestante, sono in difficoltà. Si lavora poco, il mio b&b è chiuso da marzo», non ci vuole pensare, però ci pensa. Piuttosto, elenca con occhi luccicanti il menu della Vigilia: «I frittini, le verdure pastellate, il filettino di baccalà…».
Sarà un sacrificio, vivere la festa più italiana e santa così, a famiglie spezzettate, «ma non vedo la tragedia, bisogna adeguarsi», e il leccese-romano Antonio, che ha 60 anni ed è militare appena in pensione, ricorda «l’estate pazza, il liberi tutti, le conseguenze che sappiamo». Liberi tutti chi più e chi meno, Paola vuole solo rivedere i suoi che la aspettano ad Aversa, «ho fatto i lockdown da sola, è stata dura», e anche adesso, sul marciapiedi di Termini, dove un padre incontra il figlio dopo chissà quanto, e cerca l’abbraccio. Sarà un abbraccio a metà, rigido come nell’Ottocento, quante cose sono cambiate e come siamo cambiati, noi.