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Plastica in mare, milioni di dischetti dispersi nel Mediterraneo: in otto a processo per disastro ambientale

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17 Dicembre 2020
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Non si sa di preciso quanti siano, ma pare se ne contino a milioni. Dischetti di plastica partiti dalla costa del Cilento, finiti in mare dopo il cedimento della vasca di un depuratore del comune di Capaccio e trasportati lontano dalle correnti. È successo a febbraio 2018, nei mesi successivi le spiagge che si affacciano su tutto il Tirreno si sono riempite di questi tondini bianchi. Segnalati e raccolti su tutte le coste italiane ma anche in Francia, Spagna, persino a Malta, Lampedusa e in Tunisia. Otto persone andranno a processo per disastro ambientale, rinviati a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno, Vincenzo Pellegrino.

Una decisione in qualche modo storica, sembra infatti che sia il primo processo di questo tipo che riguarda la plastica in mare. “È un’ipotesi nuova e interessante, non ci sono precedenti pubblicati – riflette Gianfranco Amendola, magistrato esperto in materia ambientale ed ex deputato europeo dei Verdi – non ricordo processi per plastica in mare di questo tipo, l’inquinamento di rifiuti in mare, compresa la plastica, anche da navi certamente sì. Non si tratta solo di abbandono di rifiuti, ma di un danno tale da provocare grossi sconvolgimenti ambientali”.



Il cedimento del depuratore

I dischetti sono quelli che servono come supporto per far crescere i batteri che, assorbendo i nutrienti nell’acqua, la purificano. La griglia di una delle vasche avrebbe ceduto, riversando la plastica in acqua. Le responsabilità riguardano, quindi, soprattutto le condizioni del depuratore. Gli imputati sono tecnici e amministratori delle aziende impegnate nei lavori: gli ingegneri del Comune di Paestum Carmine Greco e Gianvito Bello, Gerardo De Rosa ex amministratore unico e Angelo Corradino ex direttore tecnico dell’azienda speciale “Paistom”. Antonino Fiore, direttore dei lavori e Giuseppe Iodice, collaudatore dell’impianto. Guido Turconi ed Elio Bardone, legale rappresentante e direttore dei lavori della Veolia Water Tecnologies (l’azienda del colosso multinazionale francese Veolia), che si è occupata dell’adeguamento e ripristino del depuratore. Uno degli imputati, Angelo Corradino, ha scelto il rito abbreviato.

“L’accusa sostiene che il depuratore soffre di problematiche strutturali ataviche – spiega Giuseppe Giarletta, avvocato di Legambiente Campania, accettata come parte civile nel processo – nonostante questo non è mai stato bloccato ma anzi è stata sovraccaricata una conduttura che non era danneggiata. L’eccessiva pressione ha determinato lo sfondamento del depuratore che ha riversato in mare i dischetti per depurare le acque”. Assieme a Legambiente sono state ammesse come parti civili Wwf, Codacons, Comune di Formia (Latina) e Comune di Latina.

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La mappa della dispersione

Già durante la primavera del 2018, passeggiando sulle spiagge, centinaia di cittadini hanno iniziato a segnalare le migliaia di piccoli dischetti bianchi restituiti dal mare. Clean Sea Life, progetto europeo per sensibilizzare cittadini e istituzioni nei confronti dei rifiuti marini, ha mappato circa 600 segnalazioni in tutto il Mediterraneo occidentale e mobilitato volontari per ripulire le spiagge. In tutto sono riusciti a raccogliere oltre 250 mila dischetti. Tantissimi, ma che pare siano solo una piccola frazione (si parla addirittura di 130 milioni di pezzi finiti in mare, il resto, quindi, è ancora là fuori a dissolversi in miliardi di micro frammenti, ‘cibo’ per pesci e tartarughe). Tra le carte della pm Marinella Guglielmotti c’è anche il report che Clean Sea Life ha redatto con le segnalazioni e le immagini scattate dai cittadini.

L’accusa è grave, il disastro ambientale infatti è punito con la reclusione da 5 a 15 anni, in più c’è l’imputazione di inquinamento doloso in concorso. Secondo il report di Clean Sea Life, in tre anni i “carrier” di plastica hanno “investito tutte le coste occidentali italiane e raggiunto Francia, Spagna, Tunisia e Malta, spingendosi in numerosi parchi marini. Almeno tre le tartarughe marine protette – due di queste decedute – che hanno ingerito dischetti”. Secondo Amendola è necessario aspettare di leggere i rapporti in mano al Pubblico ministero: “Bisognerebbe verificarlo con le carte, leggendo i capi di imputazione – aggiunge il magistrato – e la perizia che ha in mano l’accusa. Sarebbe interessante capire la conseguenza accertata, che dovrebbe essere un danno grave, grossi sconvolgimenti all’ambiente e alla fauna ittica”.

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