Non si sa di preciso quanti siano, ma pare se ne contino a milioni. Dischetti di plastica partiti dalla costa del Cilento, finiti in mare dopo il cedimento della vasca di un depuratore del comune di Capaccio e trasportati lontano dalle correnti. È successo a febbraio 2018, nei mesi successivi le spiagge che si affacciano su tutto il Tirreno si sono riempite di questi tondini bianchi. Segnalati e raccolti su tutte le coste italiane ma anche in Francia, Spagna, persino a Malta, Lampedusa e in Tunisia. Otto persone andranno a processo per disastro ambientale, rinviati a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno, Vincenzo Pellegrino.
Una decisione in qualche modo storica, sembra infatti che sia il primo processo di questo tipo che riguarda la plastica in mare. “È un’ipotesi nuova e interessante, non ci sono precedenti pubblicati – riflette Gianfranco Amendola, magistrato esperto in materia ambientale ed ex deputato europeo dei Verdi – non ricordo processi per plastica in mare di questo tipo, l’inquinamento di rifiuti in mare, compresa la plastica, anche da navi certamente sì. Non si tratta solo di abbandono di rifiuti, ma di un danno tale da provocare grossi sconvolgimenti ambientali”.

Il cedimento del depuratore
I dischetti sono quelli che servono come supporto per far crescere i batteri che, assorbendo i nutrienti nell’acqua, la purificano. La griglia di una delle vasche avrebbe ceduto, riversando la plastica in acqua. Le responsabilità riguardano, quindi, soprattutto le condizioni del depuratore. Gli imputati sono tecnici e amministratori delle aziende impegnate nei lavori: gli ingegneri del Comune di Paestum Carmine Greco e Gianvito Bello, Gerardo De Rosa ex amministratore unico e Angelo Corradino ex direttore tecnico dell’azienda speciale “Paistom”. Antonino Fiore, direttore dei lavori e Giuseppe Iodice, collaudatore dell’impianto. Guido Turconi ed Elio Bardone, legale rappresentante e direttore dei lavori della Veolia Water Tecnologies (l’azienda del colosso multinazionale francese Veolia), che si è occupata dell’adeguamento e ripristino del depuratore. Uno degli imputati, Angelo Corradino, ha scelto il rito abbreviato.
“L’accusa sostiene che il depuratore soffre di problematiche strutturali ataviche – spiega Giuseppe Giarletta, avvocato di Legambiente Campania, accettata come parte civile nel processo – nonostante questo non è mai stato bloccato ma anzi è stata sovraccaricata una conduttura che non era danneggiata. L’eccessiva pressione ha determinato lo sfondamento del depuratore che ha riversato in mare i dischetti per depurare le acque”. Assieme a Legambiente sono state ammesse come parti civili Wwf, Codacons, Comune di Formia (Latina) e Comune di Latina.