Un grande container bianco e beige. Su una fiancata la scritta “Cov19Dog”. Uomini bardati con Dpi integrali e visiera che vanno e vengono. Al guinzaglio, dei cani: neri, fulvi, marrone scuro. Fin qui, niente di strano. Non fosse per le bardature protettive – si sa che i cani non prendono il covid e tanto meno perciò lo trasmettono – e per il luogo in cui il container è parcheggiato: il Campus Biomedico.
Proprio qui infatti, da una decina di giorni, è partita la sperimentazione con i cani olfattivi. L’obiettivo? Addestrarli a rilevare il Covid. “In Europa i cani “fiutano” malattie infettive e tumorali, è un sistema ben collaudato. Quando ci è stato proposto di sperimentare con i cani detector e il covid, non abbiamo avuto dubbi: io alla scienza non dico mai di no”, spiega Massimo Ciccozzi, epidemiologo molecolare al Campus e responsabile, insieme alla dottoressa Silvia Angeletti del progetto.
“La sperimentazione consiste in due fasi. Nella prima fase c’è l’allenamento dei cani che si adattano e imparano a riconoscere l’odore della malattia. Questo odore viene preso con delle pezzette sotto l’ascella dei covid positivi. La garza viene poi messa in un barattolino con fori di aerazione e viene fatta annusare al cane”.
Covid, cani addestrati per riconoscere l’odore del virus: la sperimentazione al Campus Bio-Medico
“Nella seconda fase”, continua il professore, “davanti al naso del cane passano una serie di contenitori (attaccati al muro) che hanno la garza con le molecole di un malato e una garza pulita: l’obiettivo è vedere se il cane riesce a distinguere i due odori. Tutta l’operazione, dal momento in cui il cane arriva, annusa e riconosce si conclude al massimo in 60 secondi che rispetto al test antigenico rapido è un risparmio di tempo notevole. Ma anche di costi”.
I cani sono sei in tutto (per ora); l’addestramento finirà all’inizio di maggio e poi partirà la sperimentazione. Verranno portati anche nei drive in dove odoreranno i piedi delle persone con le scarpe: “In questo modo ci sarà un metro di paragone: se individueranno un malato, questo sarà confermato dal tampone”.
“Li ho visti all’azione ed è stupendo” racconta Ciccozzi: “perché quando riconoscono la pezzetta del Covid rispetto all’altra, si mettono a cuccia e non si muovono, come a dire ‘è lì, l’ho trovato e la guarda'”.
Per i tumori al polmone, al seno, alla prostata, e anche per le malattie infettive, i cani hanno una capacità di riconoscimento tra l’80 e il 98 per cento dall’odore. “Per le malattie infettive l’Oms considera valido un test antigenico quando ha una soglia minima del 75 per cento”. I cani fanno meglio.
Ad aver avuto l’idea di sperimentare sui cani è stato Luigi Cola, amministratore della società Ngs, che opera nell’ambito della security da anni: “Quando ho avuto l’idea, si trattava di individuare una struttura che rappresentasse qualcosa nel panorama medico sanitario. Perché c’è anche il problema della gestione del materiale biologico”, racconta Cola.
“Grazie alla disponibilità del Campus Biomedico abbiamo materiale reale, trattato da loro, l’ambiente viene disinfettato prima di tutti i lavori e al termine delle operazioni: anche cane, guinzaglio, pettorina, mentre tutto il personale indossa Dpi. Il campus ci ha creduto, abbiamo presentato un progetto corredato di studi e tramite il comitato medico scientifico abbiamo avuto l’ok”.