L’ascolano Alvaro Binni, che sconta 15 anni per l’omicidio di Rossella Goffo, ha scritto alla Procura L’imputato in aula risponde e nega: «Non ho mai parlato di queste cose quando ero in carcere»
SILVI. Lo ribadisce più volte anche nell’ultima parte del lungo esame da imputato riservata alle domande del difensore dopo quelle del pm della scorsa udienza. «Non volevo uccidere mio padre» dice ancora Giuseppe Di Martino, il 48enne architetto accusato di aver ammazzato il 75enne papà Giovanni al termine di una violenta lite scoppiata nella casa di Silvi nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 2019. Per la Procura un omicidio volontario, per la difesa una caduta accidentale. Ma è nelle nuove domande che il pm Enrica Medori fa a conclusione di quelle dell’avvocato difensore Marco Pierdonati che l’udienza di ieri riserva una novità in una istruttoria dibattimentale ormai alla fine: la lettera inviata alla Procura da un ex compagno di cella dell’imputato in cui l’uomo racconta che Giuseppe Di Martino gli avrebbe detto di «aver sfogato tutta la sua rabbia quella sera nei confronti del padre».
A scrivere alla Procura è stato Alvaro Binni, 45enne di Ascoli, che nel carcere di Castrogno sta scontando una condanna definitiva a 15 anni per l’omicidio di Rossella Goffo, la donna con cui aveva avuto una relazione e i cui resti nel 2011 vennero trovati sepolti a Colle San Marco, sempre nell’Ascolano. Binni nei giorni scorsi è stato ascoltato in carcere dal pm Medori a cui ha raccontato «di aver parlato solo ora dopo aver visto in televisioni le immagini del processo e dell’uomo e di averlo riconosciuto come suo compagno di cella».
Giuseppe Di Martino, che è rimasto in carcere un mese prima degli arresti domiciliari dove si trova ancora, alla domanda del pm ha detto di aver condiviso per circa due settimane la cella con Binni ma di non aver mai detto niente di quello da lui raccontato e di non aver mai parlato del fatto. Elemento, quelle delle dichiarazioni di Binni, che ora spetterà alla Corte d’assise valutare. Nell’udienza di ieri l’imputato, a una precisa domanda del difensore sul perché quella sera della drammatica discussione non abbia deciso di chiamare i soccorsi per il padre, ha risposto: «L’ho soccorso subito e sinceramente in quel momento non ci ho pensato. Se ho preso la decisione di portarlo io al pronto soccorso è perché speravo fosse vivo».
Sempre rispondendo alle domande del suo avvocato Di Martino ha ribadito di non aver avuto problemi economici, di avere del denaro sul suo conto rimasto aperto in Brasile e di non conoscere l’entità dei risparmi del padre se non dopo la sua morte. Nell’udienza di ieri è stato ascoltato anche un teste della difesa, un vicino di casa che chiamò i soccorsi quando un anno prima dei fatti di giugno 2019 l’anziano cadde dalle scale. In aula, sempre presente anche se per una questione procedurale non è stato possibile la costituzione in parte civile, c’è Maria Di Martino, la sorella della vittima. Prossime udienze in programma per il 20 dicembre (ultimi sei testi della difesa) e il 24 gennaio per l’audizione dei periti nominati dalla corte (presieduta da Flavio Conciatori) per una perizia medico-legale sulle cause della morte.
©RIPRODUZIONE RISERVATA