Cocaina pura al 95% trasportata in nascondigli segreti ricavati su Tir e auto
CHIETI. L’eroina e la cocaina pura al 95% arrivavano in Abruzzo dall’Olanda e dal Belgio. I carichi milionari di droga erano nascosti in vani segreti ricavati sotto i sedili delle macchine e tra i serbatoi e le cabine dei Tir. I carabinieri del nucleo investigativo di Chieti hanno smantellato un’organizzazione criminale internazionale, guidata da albanesi con la complicità di teatini, pescaresi e teramani, anche incensurati e apparentemente con un lavoro regolare, che si occupavano di smistare lo stupefacente persino sotterrandolo e infilandolo nei tronchi degli alberi. Dodici persone sono state arrestate e rinchiuse in carcere con l’accusa di associazione per delinquere e altre 32 sono indagate, di cui 2 sottoposte all’obbligo di dimora e 5 ricercate: i numeri dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, sotto il coordinamento del procuratore Michele Renzo e dei pm Stefano Gallo e Giancarlo Ciani, sono il risultato di oltre due anni di indagine.
«IL CAPO INDISCUSSO»
Intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, sequestri per oltre 60 chili di droga e 19 arresti in flagranza hanno permesso agli investigatori del colonnello Alceo Greco, del tenente colonnello Pietro D’Imperio e del capitano Placido Abbatantuoni di svelare gli affari illeciti di una banda che aveva anche la disponibilità di armi e ramificazioni in Emilia Romagna, Marche e Lombardia. Il capo indiscusso di questo «sodalizio», che il giudice Guendalina Buccella non esita a definire di «spiccata pericolosità», era Armand Veliu, 34 anni, detto “Ari”, bloccato a Milano sabato sera, ritenuto in grado di raccordare le attività dei suoi sottoposti anche durante i periodi di assenza dall’Italia; mesi in cui si faceva recapitare i soldi in Albania utilizzando gli autobus di linea. Ci sono dialoghi fra gli indagati, infatti, nei quali si parla esplicitamente di denaro, si contano banconote che vengono confezionate in pacchetti, si fa riferimento alle istruzioni ricevute da Veliu e si menzionano i mezzi sui quali collocare i contanti. Gli enormi guadagni, secondo gli investigatori, sono stati impiegati in attività economiche e imprenditoriali sempre in Albania, ovvero per l’acquisto di appartamenti, agenzie e perfino centri commerciali. E in Italia c’era chi recuperava i “crediti” ricorrendo alla forza o minacciando coloro che non versavano le somme di denaro dovute all’organizzazione.
IL VIA ALL’INDAGINE
L’operazione è denominata “Alento” dal nome del fiume sul cui argine, all’altezza di Francavilla al Mare, vicino allo stadio Valle Anzuca, i militari hanno recuperato un chilo e mezzo di eroina custodito in una scatola, a sua volta nascosta tra la vegetazione da Manuel Catapano, montesilvanese di 36 anni. La svolta nell’inchiesta c’è stata in quel momento. Nei giorni successivi, seguendo un viaggio di Catapano e tre complici in Belgio e Olanda, gli investigatori hanno avuto un concreto riscontro del principale canale di approvvigionamento della droga utilizzato da Veliu. I carabinieri, infatti, hanno inviato una richiesta di cooperazione internazionale: la polizia tedesca ha sorpreso i corrieri, sulla via del rientro in Italia, a bordo di una Jeep Renegade che faceva da staffetta e di una Mercedes ML con oltre cinque chili e mezzo di cocaina pura al 95%. Il carico è stato trovato in un nascondiglio creato sotto il sedile lato guida, foderato in «materiale plastico refrattario», quindi utile a schermarne il contenuto da eventuali scanner ottici.
LE ESIGENZE CAUTELARI
Secondo il giudice, dunque, sussiste «il pericolo concreto e attuale di commissione di reati analoghi a quelli per cui si procede». Gli indagati hanno una «personalità spiccatamente incline a delinquere»: quasi tutti hanno «precedenti penali specifici, sintomatici proprio di una dedizione sistematica allo spaccio. Né può trascurarsi come la maggior parte degli indagati sia priva di stabile attività lavorativa lecita, ragione per la quale lo spaccio risulta fonte di reddito primaria. Rilevante appare, poi, la circostanza che, nonostante i controlli delle forze dell’ordine, in occasione dei quali sovente veniva sequestrato stupefacente e, talvolta, venivano effettuati arresti, gli indagati continuavano nell’attività criminale».
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