In tanti nella cattedrale di San Giustino al funerale del “maestro” morto a 97 anni I ricordi di Trivulzio in Rai. Il regista Viani: «Ora ti vedo insieme ai tuoi personaggi»
CHIETI. Più che un’omelia funebre è stato un lungo messaggio d’amore per Raffaele Fraticelli, scomparso lunedì scorso a 97 anni, quello che l’arcivescovo Bruno Forte ha voluto dedicare al poeta teatino.
I funerali si sono svolti ieri in cattedrale. La moglie Giuliana, maestra amata e molto nota in città, non c’era. C’erano i 7 figli, Paolo, Cecilia, Marco, Andrea, Giacomo, Chiara e Luca, e i 17 nipoti.
«Aveva la straordinaria capacità», ha detto monsignor Forte, «di stare fra l’immediatezza più umile e le vertigini della trascendenza. La sua arte ha avuto una funzione catartica: purificava il cuore, lo dilatava negli spazi di Dio, anche se mai lo estraniava dal dolore presente o dalla fatica di essere e di volersi umani. Un testimone del tempo e della trascendenza».
L’arcivescovo ha anche ricordato «la resa in dialetto di passi e temi centrali dei quattro Vangeli» e ha citato qualche strofa della poesia che Fraticelli ha dedicato alla processione del Cristo morto. Proprio con un passo dei Vangeli tradotto dal padre, il figlio Marco, a nome di tutti i figli, ha voluto salutarlo per sempre dal pulpito. Il passo scelto è stato quello tratto dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi, l’Inno all’amore. Un modo per ricordare appieno sia l’uomo che l’artista.
A prendere la parola al termine della cerimonia è stata anche Rosa Trivulzio, memoria storica della Rai regionale, che ha lavorato con Fraticelli quando andava in onda la celebre trasmissione “Pe’ la Majella”. A nome della Rai, Trivulzio ha ringraziato Fraticelli e per far capire cosa significava quella trasmissione per l’Abruzzo di allora ha preso in prestito le parole dell’articolo scritto nel 2018 sul Centro dal giornalista Giuseppe Rendine sull’amico poeta.
Nella chiesa piena, sebbene nel rispetto delle regole Covid, c’erano anche i rappresentanti istituzionali, dal sindaco Diego Ferrara, all’assessore Manuel Pantalone e al consigliere Fabrizio Di Stefano. C’era anche l’ex sindaco Francesco Ricci, allievo della maestra Giuliana. C’era inoltre Germano D’Aurelio, che con il suo personaggio ‘Nduccio ha raccolto qualcosa dell’eredità ironica e pungente di Zi Carminucce, «il mio mito», come lo ha definito lui stesso.
Accanto alla bara sono state sistemate grosse pietre bianche e un tronco. Il poeta, in alcuni versi dedicati all’amata montagna, immaginava di sedersi su quelle pietre quando per lui sarebbe arrivata l’ultima ora.
L’amico regista Dino Viani lo ha immaginato, invece, ricongiungersi a quei personaggi della storia minuta a cui ha dato vita in “Paradise Piccirille”. «Per me», dice Viani, «Lulluccio non è morto, ho immaginato che ad accoglierlo al suo funerale, tra i banchi della chiesa, c’erano Za Caruline, Cajtane “lu cice”, Za Camillucce “càveze calate”, Lauretta, Leonardo, Zapolle, Attilio “chiu-ppa-ppà”, Elena “ndo-ndò”, Giovannino Cameriere “Totò”, Ciurvette, Gerardo, Rusine “la mmammuzzelle”, Vincenzo “scudellare caminante”. “Lu pianine” era rimasto fuori insieme al Lupo di Pretoro».
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