Cittadino albanese vince la battaglia in Appello dopo il no dell’istituto e del tribunale di primo grado: «Vive in Italia da più di dieci anni, gli allontanamenti temporanei non fanno venir meno il requisito»
TERAMO. Come spesso accade nei procedimenti giudiziari, soprattutto quelli civili, di lavoro e previdenza, la norma diventa semplice contabilità negando, di fatto, diritti. La cronaca, in questo caso, racconta una storia diversa: quella di un cittadino albanese che da oltre trent’anni vive nel Teramano, e oggi in grave stato di bisogno, che per tre volte si è visto rigettare la domanda di pensione sociale (oggi assegno sociale) da parte dell’Inps. Dopo che il tribunale di Teramo ha respinto il suo ricorso contro l’istituto di previdenza sociale, c’è voluta una sentenza di secondo grado per vedere riconosciuto un suo diritto. I giudici della corte d’Appello dell’Aquila, sezione lavoro e previdenza, (collegio presieduto da Luigi Santini, a latere Paola De Nisco e Ciro Marsella) hanno accolto il ricorso presentato dall’uomo (assistito dall’avvocato Roaldo Lukaj) e condannato l’Inps al pagamento di tutte le spettanze.
La corte territoriale, traendo linfa dai tanti pronunciamenti emessi su questo punto dalla Cassazione, ha riformato integralmente la sentenza del giudice del lavoro di Teramo che aveva escluso la sussistenza del requisito del soggiorno continuativo ultradecennale in Italia a causa di alcuni temporanei allontanamenti dell’uomo che aveva fatto ritorno in Albania in occasione delle festività. I giudici aquilani hanno ribadito che ai fini del riconoscimento dell’assegno sociale ciò che rileva è esclusivamente «il radicamento territoriale» del cittadino straniero che vive ormai da tempo sul territorio italiano, stato che, ha più volte stabilito la Suprema Corte, «non si identifica con la sua assoluta, costante ed ininterrotta permanenza sul territorio nazionale».
Così, a questo proposito, hanno scritto i giudici a pagina 8 della sentenza: «Deve ritenersi che l’appellante non solo, come desumibile dalla documentazione da lui prodotta in primo grado, alla data della domanda amministrativa aveva compiuto il 65esimo anno di età ed era in possesso anche del requisito, oltre che della residenza, del soggiorno continuativo ultradecennale nel territorio italiano. Difatti alla certificazione rilasciata il 27 ottobre dalla Repubblica di Albania e richiamata dal primo giudice si evince che il medesimo nel periodo dell’agosto 2009 al settembre 2019 ha compiuto in tutto solamente 26 viaggi di andata e ritorno tra Italia e Albania, per lo più nel periodo estivo e natalizio, come agevolmente comprensibile. Orbene, gli anzidetti allontanamenti dal territorio nazionale, limitati nel numero e nella durata, non fanno venire meno, alla luce della citata giurisprudenza degli Ermellini, il requisito del soggiorno continuativo con il luogo prescelto dall’odierno appellante quale centro dei propri interessi, nonché propria dimora abituale».
La questione, a livello normativo, è disciplinata dall’articolo venti del decreto legge 25 giugno 20018 numero 112 convertito in legge nell’agosto dello stesso anno. L’Inps con propri regolamenti ha precisato che l’assegno sociale può essere concesso a condizione che il richiedente risulti residente in Italia al momento della richiesta, requisito che si perfeziona con la dimora effettiva, stabile ed abituale. Condizione che per i giudici di Appello esiste. «In accoglimento del ricorso a riforma della sentenza gravata», hanno concluso i magistrati, «condanna L’Inps al pagamento in favore del ricorrente dell’assegno sociale con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa del 21 ottobre del 2019, oltre alla maggiore somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, dalle singole scadenze al saldo effettivo».
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