L’AQUILA – In Italia il 42,6% delle madri tra i 25 e i 54 anni non ha una occupazione, e quelle che lavorano, devono troppo spesso fare le “equilibriste”, dividendosi tra vita familiare e lavorativa, spesso senza supporto e con un carico di cura che è stato ancor di più aggravato dalla pandemia. Accontentandosi, ci mancherebbe, di stipendi più bassi rispetto a quelli dei lavoratori maschi e contratti precari.
Ci sono poi regioni e province autonome, soprattutto al Nord “mather friendly”, come le province autonome di Bolzano e Trento, mentre il Sud resta in una situazione di ritardo e l’Abruzzo è solo 15° nella classifica nazione, su 21° posizioni, senza progresso negli ultimi anni.
Il miglior modo di festeggiare, senza retorica, la Festa della amma, è forse quella di squadernare i dati del rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022” elaborata da Save the Children, che include l’Indice delle Madri che identifica le Regioni che si impegnano, di più o di meno, a sostenere la maternità in Italia.
L’indice elaborato dall’Istat per Save the Children, valuta attraverso 11 indicatori la condizione delle madri in tre diverse aree: quella della “cura”, del “lavoro” e dei “servizi”.
Le province autonome di Bolzano e Trento mantengono da varie edizioni, rispettivamente, la prima e la seconda posizione nella classifica generale.
Dietro le prime due, seguono l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia, la Toscana e la Valle d’Aosta.
Al contrario, le regioni del Mezzogiorno (assieme al Lazio) si posizionano tutte al di sotto del valore di riferimento (pari a 100), evidenziando come sia più difficile per le mamme vivere in alcune di queste. Basilicata (19° posto), Calabria (20° posto), Campania (21° posto) e Sicilia (17° posto) si avvicendano da anni nelle ultime posizioni.
La media italiana è 101,9 è come detto l’Abruzzo è al 15° posto con 90,9. Era 15° anche nel 2018 e 2019, e 16° nel 2020, retrocedendo dunque, con punteggio 88.
Ma scendiamo nel dettaglio: il dominio “cura”, analizza due indicatori di contesto: il tasso di fecondità (o numero medio di figli per donna) e la distribuzione del lavoro di cura all’interno delle coppie di genitori occupati, che più di altri hanno difficoltà a conciliare i tempi di vita.
Ebbene, in questo dominio l’Abruzzo è terz’ultimo in Italia, al 19° posto con punteggio 78 rispetto alla media italiana del 98,1.
Il valore dell’Italia fa registrare un calo di quasi due punti rispetto all’anno di riferimento, segno di un peggioramento drastico partito essenzialmente dal valore del 2019 (decremento di due punti e mezzo).
Tale peggioramento si riscontra in tutte le regioni italiane con decrementi anche molto significativi (quasi 20 punti per la Lombardia). Le provincie autonome di Trento e Bolzano dal 2020 ricoprono le prime due posizioni mentre nel Mezzogiorno si registrano valori anche molto bassi, come, per esempio, in Basilicata e in Puglia (rispettivamente a 69,8 e a 73,5).
C’è poi il dominio “lavoro” che tiene conto della partecipazione delle donne al mercato del lavoro: sei indicatori riferiti al tasso di occupazione e a quello di mancata partecipazione femminile diversificati in base alla classe di età.
La comparazione dei valori tra il 2018 e il 2021 registra una sostanziale invarianza con un trend decisamente appiattito.
Se nel 2019 si registra un leggero miglioramento della situazione (quasi un punto), nel 2020 la situazione peggiora (un punto meno del 100 base).
Restano molto marcati i divari territoriali con una netta differenza tra Centro-Nord e Sud. L’Abruzzo è in questo caso 14°, con punteggio 96,3 rispetto alla media 100,7, ma aumenta di ben 4 punti rispetto al 2020.
Infine c’è il dominio “servizi”, con due indicatori di contesto: la percentuale bambini che frequentano la scuola dell’infanzia e l’indice di presa in carico dei bambini all’asilo nido e altri servizi integrativi per la prima infanzia.
L’Abruzzo è 17°, con punteggio 101,9, rispetto il punteggio nazionale medio di 107, e retrocede di tre pozioni rispetto al 2020.
Quasi tutte le regioni registrano un miglioramento nell’arco temporale considerato. Il dato maggiormente significativo sembra essere il gap meno ampio tra Nord e Sud: la Sardegna fa registrare una performance simile alla Lombardia e di poco superiore al Piemonte. La presenza di diverse regioni del Mezzogiorno con valori superiori al valore Italia dimostra l’assottigliamento della variabilità territoriale su questo dominio.
Complessivamente il quadro resta comunque critico: anche la lieve ripresa economica dello scorso anno è stata caratterizzata “da ingiustizie di genere”: delle 267.775 trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato del primo semestre 2021, solo il 38% riguarda donne.
Se si guarda il numero totale di attivazioni contrattuali (sul totale di tutte le attivazioni) nel 1° semestre per le donne (poco più di 1,3 milioni), la maggior parte (38,1%) è a tempo determinato; seguono il lavoro stagionale (17,7%), la somministrazione (15,3%) e, solo per ultimo, l’indeterminato (14,5%).
Degli oltre 2 milioni di contratti attivati per gli uomini, quasi la metà (il 44,4%) è a tempo determinato, subito seguito dall’indeterminato (il 18%).
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