Maxi blitz dei carabinieri del Comando Provinciale di Genova che, delegati dalla Procura di Napoli, stanno eseguendo in tutta Italia un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di oltre 50 indagati. Gli inquirenti contestano, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe, falsificazione assegni, riciclaggio.
Sono 70 le truffe finora accertate. Contestualmente è in corso anche un sequestro di beni a società per circa 3 milioni di euro.
Tre bande individuate
Tra i principali reati contestati ci sono falsità in titoli di credito e possesso di documenti di identificazione falsi, sostituzione di persona, intercettazione e impedimento illecito delle comunicazioni telefoniche, irregolarità nella ricezione e stoccaggio finalizzati alla sottrazione dell’accertamento o al pagamento dell’accisa sugli oli minerali, riciclaggio e autoriciclaggio.
L’olio stoccato in un deposito nel Salernitano
Una delle tre bande di truffatori sgominata dai carabinieri di Genova e dalla Procura di Napoli (59 sono le misure cautelari notificate oggi dai militari liguri, supportati principalmente dai militari di Napoli ma anche da quelli di Salerno, Varese, Venezia, Roma, Frosinone, Latina, Milano, Brescia, Lodi, Novara, Avellino, Pordenone) operava solo a Napoli e si occupava dell’importazione dall’Est Europa di olio industriale con cisterne accompagnate da false bolle di trasporto.
L’olio stoccato in un deposito sito nell’area salernitana veniva illecitamente miscelato con il gasolio allo scopo di allungarne la quantità per incrementare i ricavi derivanti dall’erogazione al dettaglio presso nove impianti di distribuzione ubicati nelle province di Napoli e Salerno, controllati dal sodalizio.
I proventi illeciti venivano progressivamente reimpiegati nella costituzione di società-cartiere operanti nello specifico settore, nei cui capitali confluivano anche i numerosi beni immobili e mobili acquistati nel tempo dal sodalizio per riciclare il denaro.
L’attività investigativa dei carabinieri, che ha permesso di contestare agli indagati ben 70 (settanta) episodi di truffa, per un profitto illecito complessivo di circa 1 milione e mezzo di euro, ha consentito il sequestro di denaro, immobili, società riconducibili a vario titolo ai principali indagati per un valore complessivo stimato intorno ai 2 milioni e 700mila euro, nonchè il sequestro di un appartamento adibito a stamperia unitamente a numerosi apparati informatici per la stampa professionale di banconote, documentazione contabile e titoli bancari e postali.
Le auto di lusso
La prima associazione per delinquere, avente base direttiva e logistica a Napoli, con ramificazioni in Lombardia e Friuli Venezia Giulia, agiva nell’ambito delle compravendite on-line di autovetture di pregio utilizzando quattro batterie operative.
In particolare, dopo preliminari contatti telefonici, ai telefonisti (truffatori) subentravano altri sodali che, sotto false identità concludevano di persona le trattative consegnando agli inserzionisti assegni circolari falsi emessi da un inesistente ufficio postale creato allo scopo dall’organizzazione, che ne faceva comparire, tramite finte pagine web, i riferimenti sui principali motori di ricerca. Con altro modus operandi, i sodali si proponevano anche come sedicenti venditori di veicoli; infatti, utilizzando immagini del mezzo e dei documenti di circolazione ottenute via “whatsapp”, nel corso delle trattative avviate come acquirenti duplicavano sui siti specializzati l’originale inserzione di vendita sostituendosi al vero proprietario ed indicando un prezzo d’acquisto decisamente conveniente.
Contattati su un’utenza dedicata riportata in annuncio, i truffatori richiedevano agli ignari compratori di emettere a favore del falso venditore un assegno di caparra o coprente l’intera cifra e di anticiparne l’immagine attaverso un noto social di messaggistica come garanzia dell’impegno all’acquisto, rimandando la materiale consegna del titolo e della vettura ad un incontro con la vittima fissato a distanza di qualche giorno ed a cui non si sarebbero presentati. L’organizzazione, infatti, sfruttava quel lasso di tempo per riprodurre, a mezzo propri falsari e stamperia, l’assegno ricevuto in fotografia, incassandolo senza incorrere in alcun problema di “bene emissione” considerata la correttezza dei dati in esso riportati, corrispondenti a quelli del titolo originale contraffatto.
Tra gli indagati anche dipendenti delle poste che, tramite indebiti accessi agli archivi informatici dell’Ente, fornivano i nominativi di persone molto anziane o emigrate da tempo all’estero che risultavano titolari di buoni fruttiferi in lunga giacenza o emittenti vaglia postali d’ingente valore. I buoni e i vaglia venivano successivamente clonati ed incassati con l’aiuto degli stessi impiegati da sodali o soggetti compiacenti, sostituitisi ai legittimi titolari-beneficiari utilizzando documenti falsi.
Gli assegni falsi
Il secondo sodalizio criminale, con base direttiva e logistica anch’esso a Napoli e ramificazioni in Friuli Venezia Giulia, si avvaleva di cinque gruppi operativi per commettere la stessa tipologia di truffe, ma utilizzando una diversa modalità esecutiva, seppur con l’utilizzo di assegni circolari falsi, emessi da istituti bancari realmente esistenti.
Il sodalizio era specializzato nella compravendita on-line di beni di lusso fra cui orologi di noti marchi, vetture di grossa cilindrata e pregiati prodotti alimentari. Le vittime si recavano presso la propria filiale bancaria per verificare la genuinità dell’assegno in compagnia di uno dei truffatori che avvisava un altro complice, risultato essere il promotore dell’organizzazione, che sfruttava le competenze professionali acquisite nei venti anni trascorsi come tecnico alle dipendenze di una società di telefonia.
Infatti, quando i cassieri della banca contattavano telefonicamente l’istituto emittente l’assegno (falso) per verificarne la “bene-emissione”, non parlavano in realtà con i colleghi dell’altra banca, ma con il predetto truffatore che, collegandosi con apposita strumentazione alle centraline telefoniche nelle vicinanze di alcuni istituti di credito campani, ne deviava le telefonate in entrata assicurando la genuinità dell’assegno, che solo in un secondo momento risulterà falso. I truffatori in questo modo si facevano consegnare i beni in vendita.