L’Ilva uccide ancora. La Corte europea dei Diritti dell’uomo ha pronunciato la settimana scorsa quattro condanne nei confronti dello Stato italiano per le emissioni dell’Ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia Spa, sottolineando la loro pericolosità per la salute e la mancata tutela da parte delle istituzioni. Si conferma così la condanna del 2019, quando la stessa Corte dichiarò lo Stato italiano colpevole di aver violato la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. L’Italia venne obbligata a pagare 5.000 euro alle 161 persone che avevano sporto denuncia. Forse troppo poco, visto che, a distanza di tre anni, si conferma il timore che esista lo stesso pericolo per la salute. Le nuove, quattro, condanne arrivano tra l’altro a qualche settimana dalla richiesta dei legali dell’Ex Ilva di dissequestrare gli impianti, perché considerati non più nocivi per la salute. Eppure solo quattro mesi fa, il rapporto del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ha definito Taranto “zona di sacrificio” degli interessi legati alla salute. Ma le ingiunzioni internazionali sembrano non scalfire il governo italiano. Due giorni fa un nuovo schiaffo alla città che ha visto e continua a vedere un impatto diretto, e dimostrato, sulla salute dei suoi abitanti. Le risorse finanziarie per la riduzione dell’impatto ambientale dello stabilimento siderurgico sono state destinate, a sorpresa, alla conversione dell’acciaieria in senso green. Qualcosa di utile, certamente, ma che non può mettere in secondo piano l’urgenza di bonifica che quel territorio richiede. Nelle commissioni Finanze e Industria del Senato, è stato così respinto l’emendamento al decreto Milleproroghe presentato dal Movimento 5stelle, che voleva abrogare la proposta del governo di spostare queste risorse – 150 milioni – dalle bonifiche alla produzione. Ci sono stati 14 favorevoli (M5s, Pd e Leu) e 14 contrari (Forza Italia e Lega), mentre Fdi si sono astenuti. Il decreto Milleproroghe, con l’articolo 21 riservato alle imprese di interesse strategico nazionale, va quindi a deviare la destinazione dei fondi sequestrati nel 2017 alla famiglia Riva dal trust che li custodiva nel paradiso fiscale dell’isola di Jersey, per destinarli ad Acciaierie d’Italia al fine di decarbonizzare l’attuale produzione, ed elettrificare il ciclo produttivo dell’acciaio. In sostanza si spostano soldi destinati alle bonifiche di aree pericolose (anche esterne allo stabilimento), destinandoli a una società per metà pubblica e per metà privata, affinché renda più “green” il sistema di produzione. Ovvero qualcosa che dovrebbe e potrebbe provvedere a fare da sola. L’unica speranza, non remota, è che il provvedimento del governo venga fermato negli step successivi: l’iter parlamentare e il vaglio dell’Europa stessa. Ma resta tanta amarezza per una storia che non finisce di generare vergogna per il nostro Paese. I dem ammettono di aver sbagliato a cedere alla “forzatura” voluta dall’alleato di centrosinistra, e in dissenso con i vertici del Pd. Il senatore Stefano Collina (PD) ha fatto mea culpa: “La scelta nasce solo dalla volontà di non rompere un’alleanza politica che sul territorio tarantino sostiene un candidato sindaco”, si giustifica senza pudore. M5S attacca: “Lo stop all’emendamento è uno schiaffo a Taranto e un segnale molto negativo per il Paese. Perciò lo ripresenteremo nel prossimo decreto Aiuti”, ha detto Mario Turco, vicepresidente del M5S e primo firmatario dell’emendamento bocciato.
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