Per i giudici, l’ex parroco di Isola di Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio, è un uomo del clan Arena che per anni ha garantito alla cosca del crotonese guadagni per milioni, lucrando anche sulla pelle dei migranti rinchiusi nel Cara di Crotone. E adesso, ha ordinato il Tribunale di Catanzaro su richiesta della procura retta da Nicola Gratteri, allo Stato deve restituire tutti i beni, intestati a lui o ai nipoti, accumulati.
Fabbricati, conti correnti, una villa di pregio, società. È un patrimonio del valore di un milione e mezzo di euro quello che i finanzieri del comando provinciale di Crotone hanno sequestrato a don Edoardo Scordio, condannato a otto anni e otto mesi in appello e attualmente ai domiciliari nel Centro internazionale di studi rosminiani di Stresa, nei pressi di Verbania, e ai nipoti, Domenico e Edoardo Scordio.
Travolto dall’inchiesta Jhonny, Scordio, fra i fondatori delle Misericordie, si è rivelato il terminale dei clan all’interno del Cara di Isola Capo Rizzuto. Grazie a lui su 103 milioni di euro di fondi Ue, erogati dal 2006 al 2015 per la gestione del centro, 36 sono finiti agli Arena. Grazie al sacerdote, erano stati loro a accaparrarsi tutte le forniture, i servizi di ristorazione e assistenza degli ospiti.
Risultato, il Cara di Crotone è diventato tristemente noto come un “lager”, dove gli ospiti erano costretti a vivere in condizioni inumane. Spesso – hanno dimostrato all’epoca le indagini del Ros – il cibo non bastava per tutti e la qualità, aveva spiegato all’epoca degli arresti il procuratore capo Gratteri – “era pari a quella degli alimenti riservati ai maiali”.
Ma questa non era che una delle truffe su cui per anni si è basato il sistema ideato da don Scordio. Ed era stato proprio lui, si legge nella sentenza, a proporre agli Arena di “costituire e affidare alla gestione di sodali di fiducia le imprese cui affidare l’erogazione dei servizi più remunerativi in modo tale da permettersi di accaparrarsi la quasi totalità delle risorse stanziate”. È così che un fiume di soldi è finito non solo nelle casse del clan, ma anche in quelle personali del prete.