ESCARA. Settanta a Montesilvano, altre 50 a Francavilla, una trentina a Pescara. Sono sempre di più di le case del sesso a pagamento. Appartamenti a luci rosse nei palazzi abitati dalle famiglie. È un affare che supera i 10 milioni di euro all’anno, forse anche 15: un’industria che non conosce crisi, che sfugge al fisco e che all’apparenza è anche legale perché la prostituzione non è un reato. Al massimo è contraria al regolamento condominiale ma solo se contiene una (inutile) clausola antiprostituzione e cioè un articolo, tra le regole sui panni stesi e il divieto di fumo nell’androne, in cui si vieta di trasformare l’appartamento in un negozio del sesso. Sicuramente, è un’industria che mette in imbarazzo i residenti che si ritrovano nei condomini un viavai di clienti, di giorno e di notte. Di solito silenziosi e con le facce basse, ma a volte anche fastidiosi. E partono proprio dalle segnalazioni degli abitanti e degli amministratori di condominio i controlli delle forze dell’ordine nei palazzi in cui lavorano donne, soprattutto ragazze dell’Est e sudamericane, e transessuali. Ma nella quasi totalità dei casi, i controlli delle forze dell’ordine finiscono in un vicolo cieco. Perché, spesso, le donne e i transessuali che si prostituiscono nelle case non hanno sfruttatori alle spalle: lo fanno per scelta e guadagnare. Storie di imprenditrici di se stesse. Un lavoro come un altro ma che consente di ottenere soldi a palate. Tanto che gli investigatori quando indagano sulla prostituzione nelle case parlano di «affare economico».
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