Riciclare le batterie al litio e altri scarti pericolosi utilizzando gli scarti della lavorazione degli agrumi con un processo innovativo.
È la missione di AraBat, start up pugliese che si adopera per il riciclo di rifiuti pericolosi, come i RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) e le batterie agli ioni di litio esauste (LIB). La mission è commercializzare le materie prime seconde da esse recuperate, obiettivo importante per la sostenibilità di una elettrificazione che non potrà neppure compiersi appieno senza il recupero delle cosiddette terre rare, insufficienti per tutti a livello di materia prima. L’azienda è impegnata anche nello sviluppo di altri processi circolari nella produzione di energia rinnovabile e in attività di consulenza nel campo della green economy.
Il progetto principale di AraBat è proprio il riciclo delle LIB esauste, per reintegrare i composti di metalli preziosi recuperati attraverso un innovativo sistema idrometallurgico basato su altri rifiuti: gli scarti agroalimentari. Attualmente nel nostro Paese non esistono aziende che si occupano del riciclo delle batterie al litio, ha detto l’amministratore delegato e fondatore della start up, Raffaele Nacchiero: “Vorremmo essere la prima realtà del tutto nuova, giovanile, innovativa che con un processo di economia circolare vuole trasformare l’intero settore elettrico partendo proprio dal potere organico della terra”. Ma come funziona? La biomassa derivante dal processo di lavorazione viene lavorata e poi sottoposta a un processo di lisciviazione verde, ovvero la separazione di uno o più componenti solubili da una massa solida mediante un solvente. Questo crea una sorta di polvere di buccia d’arancia che viene utilizzata per trattare la cosiddetta black mass delle batterie al litio, una polvere che contiene le cosiddette “materie prime critiche”: cobalto, litio, nichel, manganese.
Questi materiali, in questo modo, possono essere riutilizzati in tantissimi settori dove sono molto richiesti, e lo saranno sempre di più, mentre si recupera un materiale di scarto da un prodotto agricolo che, solo in Puglia, raggiunge i 2 milioni e mezzo di quintali. L’azienda si rivolge a un numero di potenziali clienti molto elevato, che comprende aziende legate a settori molto diversi tra loro: produzione di LIB e AEE; settore metallurgico; produzione di vetro e ceramica; industria farmaceutica; società di ingegneria e molti altri. per migliorare la loro immagine di aziende green e intraprendere la transizione circolare in modo coerente. Lo sviluppo della startup AraBat è supportato da un Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) con funzioni consultive, di cui fanno parte tutti i partner fondamentali della startup: professionisti e docenti universitari, centri di ricerca privati come Marchionni SRL, CETMA e Tecnalia; organizzazioni di consulenza e formazione ambientale come il Gruppo A.FO.RI.S.; università italiane come l’Università di Foggia, il Politecnico di Bari, l’Università di Bari e l’Università del Salento; associazioni culturali senza scopo di lucro impegnate nella valorizzazione di progetti sostenibili, come Associazione NemicoRe; distretti produttivi, come DIPAR (Distretto Produttivo dell’Ambiente e del Riutilizzo). Terminata la fase scientifica e sperimentale, AraBat punta ora a realizzare un prototipo per le successive fasi di industrializzazione.
L’articolo AraBat, dalla Puglia la start up che recupera le terre rare dagli scarti proviene da The Map Report.