L’AQUILA – “Siamo gli unici con un programma netto per il centrosud d’Italia, ad esempio con il ‘no’ secco all’autonomia differenziata. Se passasse, l’autonomia differenziata voluta da centrosinistra, centrodestra e M5s, dividerebbe ancora di più il Paese”.
Una campagna elettorale, e una proposta politica controcorrente, quella di Luigi De Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli, leader di Unione Popolare, movimento nato nel luglio 2022, sostenuto da vari partiti e associazioni tra cui DeMa, Manifesta, Potere al Popolo e Rifondazione Comunista, oltre a numerose espressioni della società civile.
Nell’intervista-fiume ad AbruzzoWeb ha toccato diversi punti cruciali della difficilissima situazione economica e sociale italiana nel contesto della guerra in Ucraina che rischia di portare una catastrofe su scala mondiale.
“Il principale leader della sinistra radicale europea, Jean-Luc Mélenchon, ha dichiarato che se vogliamo contrastare le destre dobbiamo costruire e rafforzare l’unica formazione di sinistra che si può opporre alle destre e che oltre ad essere di sinistra è antifascista, ambientalista e pacifista e si riconosce nell’attuazione dei diritti costituzionali – spiega nell’intervista De Magistris -, perché affermo questo? Perché il Partito democratico, mentre dice ‘unità contro le destre’ governa con Berlusconi e la Lega; e fino a qualche qualche settimana fa, Letta faceva i convegni con Meloni e parlava di riforme insieme”.
De Magistris, partiamo da un suo recente commento su Twitter: “Giornata internazionale della pace: Putin alza il tiro, nessuno cerca la pace, Usa, Nato e Ue sono per la guerra. Il rischio di una guerra nucleare è sempre più concreto, la tragedia umanitaria ed economica sempre più grave. Solo Unione Popolare ha storie e programma di pace”.
Prima ancora che nascesse Unione Popolare, anche la mia posizione all’inizio di questo conflitto, quando sembrava che in televisione fosse una sorta di “uno contro tutti”, è stata sempre una posizione chiara che condanna la guerra di Putin, una guerra fuori dal diritto internazionale. Noi siamo contro tutte le guerre, ma quello che riscontriamo è che ormai si è fatta una scelta, ossia quella di perpetrare una guerra che rischia di essere lunghissima e rivelarsi un Afghanistan nel cuore dell’Europa. Tutto questo non “arriva” solo dalla parte di Putin, che è chiaro che non si ritirerà mai unilateralmente anzi oggi (ieri, ndr) ha ribadito con forza che se dovesse essere minacciata la sicurezza nazionale russa, lui risponderà con ogni mezzo, cioè la tipica risposta di una superpotenza nucleare, ma la stessa cosa direbbero Cina e Stati Uniti. Purtroppo, invece di lavorare come Europa per mettere a terra non solo un dialogo – tentato sia da Emmanuel Macron che da Olaf Scholz anche se senza particolare efficacia – o comunque una proposta di pace, di trattativa, di mediazione, di compromesso, si è scelto l’invio delle armi.
Con quale conseguenza?
Che la guerra tra Ucraina e Russia si è rivelata per ciò che è sempre stata: una guerra tra Russia e Stati Uniti-Nato. Guardiamo al presidente ucraino, Volodymyr Zelens’kyj: ha sempre risposto ad altri interessi, ed oggi nessuno può più dubitare di questo. Insomma, se mandi armi, la pace si allontana. Se aumenti le spese militari, la pace si allontana. Se non cerchi il dialogo, la pace si allontana. E la guerra rischia di diventare nucleare. Inoltre, c’è l’effetto, di cui è responsabile il governo Draghi, delle sanzioni che non stanno colpendo solo la Russia, ma anche l’Italia e l’Europa. Anche se ci era stato garantito che le sanzioni avrebbero fatto male soltanto alla Russia e che sarebbero state determinanti per fermare la guerra.
Gli ultimi due anni hanno creato ulteriori, gravi fratture nella società italiana, basti pensare a quanto fatto contro i no green pass e a chi era ed è contrario all’obbligo vaccinale. Persone che si sono ritrovate senza lavoro, sospese, escluse. Crede che queste ulteriori fratture potranno ricomporsi in qualche modo?
L’Italia ha bisogno di coesione. L’Italia ha dato il meglio di sé quando ha ritrovato le ragioni dell’unità pur nelle diversità che nel Paese, un Paese piccolo, ci sono, da quelle territoriali e culturali a quelle storiche. Ma in alcuni momenti le ragioni dell’unità le ha ritrovate.
Tradotto in queste elezioni politiche?
Nel sistema del pensiero unico del “draghismo”, voti Meloni, o Salvini, o Letta, o Renzi, o Calenda, voti contro l’unità. L’unità, con queste ‘scelte’ politiche, non potrà mai esserci. Tutti loro vogliono l’autonomia differenziata, che renderebbe il Paese ancora più diseguale sul piano economico, sociale e territoriale; e tutti loro non vogliono politiche di pace, perché la politica estera è quella, non cambia. E non cambierebbe neanche con Conte, che si è detto pacifista ma che ha votato tutto ciò che ha voluto il governo Draghi, un’operazione che il 26 settembre tornerà all’ovile poiché è un’operazione di tipo elettorale. Sulle politiche ambientali, poi, basta sentire le parole non di De Magistris, ma del ministro Cingolani: siamo in emergenza, non è il momento di pensare alla natura e al paesaggio. Il sistema opera perché lo stato di eccezione di emergenza diventi permanente, in modo da avere poteri emergenziali ma non per risolvere l’emergenza, bensì per utilizzare sempre quelle medicine, quelle cure tossiche e velenose che hanno procurato l’emergenza e distruggendo ambiente, diritti sociali. Ovviamente, lo stato di eccezione si nutre della criminalizzazione del dissenso, cioè chiunque la pensi diversamente su qualsiasi tema è un ribelle, un sovversivo, va criminalizzato, va colpito. Ecco perché queste elezioni sono importanti. Se riusciamo a far entrare in Parlamento forze antisistema come Unione Popolare, vuol dire far entrare un Parlamento voci che non sono rappresentate. Dalle piazze, ai social, alle manifestazioni, il Paese reale è molto diverso da quello rappresentato dal pensiero unico. E può entrare in Parlamento.
Lei afferma che il voto a Unione Popolare sia l’unico in grado di contrastare l’avanzata delle destre.
Il principale leader della sinistra radicale europea, Jean-Luc Mélenchon, ha dichiarato che se vogliamo contrastare le destre dobbiamo costruire e rafforzare l’unica formazione di sinistra che si può opporre alle destre e che oltre ad essere di sinistra è antifascista, ambientalista e pacifista e si riconosce nell’attuazione dei diritti costituzionali. Perché affermo questo? Perché il Partito democratico, mentre dice “unità contro le destre” governa con Berlusconi e la Lega; e fino a qualche qualche settimana fa, Letta faceva i convegni con Meloni e parlava di riforme insieme. Se guardiamo la politica del Pd degli ultimi anni, dal Jobs act alla Fornero, all’abolizione dell’Articolo 18, alla Buona scuola, all’autonomia differenziata, alla guerra, alle armi, alle privatizzazioni, anche Letta si offenderebbe se si definisse quel partito di sinistra. Passiamo a Fratoianni e ai Verdi, con cui ci sono delle “consonanze”? Ci auguriamo che quell’elettorato voti noi, perché non si può votare Civati ed eleggere Casini, oppure votare Soumahoro e vederlo a braccetto con Bonaccini. Sono persone che continuano a dire che sono contro il nucleare, gli inceneritori, la guerra, ma in realtà sono lì per far eleggere, per far votare, alla fine, il Partito democratico. Surreale, come è surreale che Calenda rompa col Pd perché il Pd “va” con Fratoianni, ma poi il Pd dice che si allea con Fratoianni ma non governerà mai con Fratoianni, mentre Fratoianni dice “bene un’alleanza con Calenda”. No comment. In questa confusione, il Movimento 5 stelle ha compreso che c’era un campo largo a sinistra. Ha fatto finta di rompere con Draghi, ha fatto vedere che staccava la spina all’alleanza col Pd, poi però se ne escono Appendino e Conte, che annunciano che dal 26 settembre staranno nuovamente col Pd. Con Conte che in campagna elettorale si scopre di sinistra, ma le politiche del governo con Salvini erano porti chiusi, no alla revoca delle concessioni autostradali, eccetera. Mélenchon gliel’ha spiegato chiaramente che non è di sinistra. I valori di sinistra appartengono a noi. Ed io sono in Unione Popolare dopo una lunga esperienza sul campo, dall’antimafia al Comune di Napoli, da sindaco. Per una rottura col sistema e per una politica di governo, con una credibilità costruita con i fatti, non solo con le parole.
Capitolo astensionismo: cosa significa, secondo lei, non andare a votare?
Io mi riconoscono nelle parole di Gramsci, per cui se non vai a votare con un sei neutrale, non sei equidistante. Siccome il sistema si nutre della rassegnazione, della sfiducia, dell’apatia, anche della giusta nausea che hanno i cittadini di una certa politica, non votare significa far vincere il sistema. Ed oggi, Unione Popolare indica la costruzione dell’inizio di un percorso con cui in Parlamento dare voce a chi non ne ha, agli oppressi, a quelle fasce sociali che non sono più rappresentate. Dobbiamo tornare al pluralismo della democrazia, alla centralità del Parlamento. Mi auguro, allora, anche in questi ultimi giorni di campagna elettorale, che ci si renda conto che non andare a votare significa fare un passo indietro, non avanti.
Anche in Abruzzo c’è tanta sfiducia nei confronti della politica. Cosa dire, allora, ai cittadini e agli elettori della nostra regione in vista di questa tornata elettorale?
Che siamo gli unici con un programma netto per il centrosud d’Italia, ad esempio con il “no” secco all’autonomia differenziata. Se passasse, l’autonomia differenziata voluta da centrosinistra, centrodestra e M5s, dividerebbe ancora di più il Paese. E poi, c’è il tema della desertificazione giovanile sia delle aree interne che delle aree urbane del centrosud. Stiamo perdendo i 18enni, giovani che devono andarsene dal sud perché non trovano lavoro per ritrovarsi senza soldi per l’università, per la casa, eccetera. Il Pnrr, che avrebbe potuto dare respiro al centrosud, è però stato “sforbiciato”. Purtroppo, molti politici del centrosud, e l’Abruzzo ne è una delle prove, hanno tradito l’elettorato. Ecco perché io porto spesso l’esperienza di sindaco di Napoli: abbiamo dimostrato a Napoli che esiste anche un altro sud che quando mette insieme le masse popolari, la partecipazione democratica, la ribellione dal basso con una capacità di autonomia, di libertà e forza puoi ribaltare, trasformare una città che ormai era diventata famosa nel mondo per i rifiuti è che invece si è rivelata la prima città in Italia per crescita del turismo culturale. Credo, alla luce di questo, che noi dobbiamo fortemente per lottare per un sud che non vada in giro col cappello in mano, che punti sull’orgoglio, sull’identità. Prendiamo l’Abruzzo, una regione in cui si può creare lavoro con la biodiversità, con l’agricoltura, con la montagna, con il mare, che può essere ripopolato nei suoi borghi, che può rinascere con la riqualificazione edilizia, evitando il consumo di suolo. Ci vuole visione, ci vuole concretezza. Votando chi per il centrosud ha lottato, non solo amato a parole.
Il vostro rapporto con le altre forze antisistema, come ad esempio, ma non soltanto, Italia Sovrana e Popolare? Vi siete “annusati”, incontrati?
Questa è stata una campagna elettorale lampo. Abbiamo dovuto raccogliere le firme in pieno agosto, con la totale assenza dello Stato, senza neanche poter far firmare chi non era residente. Dopo il 25 settembre vediamo in Parlamento cosa accade. Mi auguro che ci sia un maggiore pluralismo in Parlamento, come del resto intende Unione Popolare. Si potrebbero unire delle aree con cui magari ci possono essere delle differenze ma con cui ci si può incontrare sul baluardo, il faro della Costituzione antifascista che per me non va difesa, ma applicata. Certo, poi ci sono delle forze antisistema come ItalExit di Paragone che al suo interno ha personaggi di estrema destra, il che significa che non tutte le forze cosiddette antisistema lo sono davvero.
I CANDIDATI DI UNIONE POPOLARE IN ABRUZZO
Al plurinominale in Abruzzo al Senato ci sono Claudia Maria Roselli, Franco Maggi, Anna Marrama. All’Uninominale: Raffaele D’Agata.
Al Plurinominale alla Camera, Maurizio Acerbo, Alessia Mazzagufo, Giovanni Scarsi, Alessandra Guerra.
All’uninominale alla Camera Amanda De Menna; Emanuele Mancinelli e Nicola Stornelli.
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