Uno degli episodi recenti che ha sollevato polemiche riguarda un dipinto rinascimentale che, inizialmente ridipinto in modo grossolano e attribuito a un artista anonimo del Seicento, è stato venduto all’asta Wannenes a Genova nel maggio 2019 per circa duemila euro e successivamente esportato con regolare licenza. Tuttavia, il 22 aprile 2021, lo stesso dipinto è passato da Christie’s a New York, dopo essere stato liberato dai pesanti ritocchi e riportato al suo antico splendore, con la corretta assegnazione a Vincenzo Foppa, il patriarca della pittura rinascimentale lombarda.
La stima di valore (200-300mila dollari) era adeguata alla riscoperta natura di piccolo capolavoro, ma grazie alla tracciabilità delle informazioni resa possibile dal web, è riemersa una foto del dipinto come appariva all’asta precedente, evidenziando che i nuovi proprietari, presentando l’opera nello stato in cui si trovava, avevano ottenuto il permesso di esportazione. Sfruttando la possibilità di annullare un’autorizzazione in caso di scarsa trasparenza o mancanza di dati da parte del richiedente, il Ministero della Cultura (MiC) ha avviato un’operazione di polizia internazionale, che ha portato al sequestro del dipinto di Foppa.
Sebbene non siano noti tutti i dettagli dell’indagine giudiziaria, si ipotizza che il Ministero, non potendo più valutare le ridipinture (antiche o recenti), abbia sottolineato l’esistenza di una truffa organizzata da parte degli stessi acquirenti del dipinto danneggiato. Tuttavia, sorge la domanda se gli acquirenti fossero consapevoli dell’inganno (ossia se avessero ordito una trama per far mascherare l’opera da un restauratore falsario, mettendola all’asta tramite un prestanome per poi ricomprarla e presentarla ufficialmente per l’esportazione come un oggetto di poco valore) o se avessero semplicemente notato qualcosa che gli altri non avevano visto.
La situazione si complica notevolmente di fronte a questa biforcazione tra truffa e scoperta. In caso di impossibilità di documentare in modo evidente l’inganno, il Ministero dovrebbe ammettere il proprio errore in buona fede, che sarebbe anche l’errore dei numerosi acquirenti che hanno part.