“La volontà omicida è indiscutibile”. Dopo aver colpito la prima volta, “la caccia è continuata, con imperturbata determinazione, sino a riservare a ciascuna delle sue vittime la sua punizione”. E l’arma scelta denota la precisa volontà di uccidere.
Non c’è stato errore, ma spietata pianificazione nell’omicidio di Soumaila Sacko, il sindacalista maliano ucciso il 2 giugno 2018 nell’area della Fornace, vecchia fabbrica dismessa e sequestrata nella zona di San Calogero, nel vibonese.
Per questo al 45enne Antonio Pontoriero, condannato a 22 anni dalla Corte d’Assise di Catanzaro, non è stata concessa attenuante alcuna. Quando ha imbracciato il fucile ed ha sparato contro Soumaila e i due braccianti che erano con lui, il 45enne – scrivono in sentenza i giudici – aveva in mente un preciso un piano di morte.
Nonostante questo, pochi giorni dopo quella sentenza, altri giudici – quelli della Corte d’appello cui i legali del 45enne si sono rivolti – gli hanno concesso i domiciliari, nella stessa casa in cui si era rifugiato dopo il barbaro omicidio di Soumaila Sacko e dove è stato sorpreso mentre tentava di distruggere le prove.
Proposito naufragato, quei vestiti e gli esami a cui sono stati sottoposti sono finiti agli atti del processo e sono diventati una prova a carico di Pontoriero. Inutili poi si sono rivelati i tentativi del 45enne di San Calogero di far credere che quell’omicidio fosse stato un errore, che il suo proposito fosse “semplicemente” quello di intimidire i tre braccianti che si trovavano nella fabbrica dismessa alla ricerca di vecchi pezzi di lamiera, necessari per costruire un riparo. “È agevole osservare – fa notare il giudice – che l’agente animato dall’intenzione di spaventare taluno, inducendolo ad allontanarsi, non spari mirando al capo, ma piuttosto diriga il colpo in aria”.
Invece Pontoriero ha preso la mira ed ha sparato. Non pago, dopo aver colpito Soumaila Sacko e averlo visto precipitare dal tetto, ha puntato gli altri. Anche in quel caso per uccidere. “Ove si fosse trattato di errore esecutivo, avrebbe interrotto l’azione. Invece la caccia è continuata, con imperturbata determinazione, fino a riservare a ciascuna delle sue vittime la sua punizione” annota la Corte. Ha messo in atto – sottolinea – il proprio piano omicida, senza “remore ad attentare alla vita altrui per difendere il possesso di un bene abusivamente acquisito alla sua disponibilità”.
Della Fornace, vecchia fabbrica dismessa e sequestrata, lui e la sua famiglia disponevano come se fossero di loro proprietà. Esercitavano, scrive il giudice, “una abusiva signoria sull’area, tanto da aver già in passato attuato iniziative volte ad impedire la sottrazione di lamiere”. Per Pontoriero e i suoi, erano roba loro. Su cui nessuno doveva mettere le mani, pena la vita. Come Soumaila, ammazzato per due vecchi pezzi di lamiera che avrebbe voluto trasformare in una casa.