“Considero la sentenza della Cassazione una vittoria: lo stato è laico e il dirigente scolastico non può imporre un simbolo religioso ad una classe e a un docente”. Franco Coppoli, 55 anni, laureato in Filosofia, è docente di Italiano e Storia presso un istituto superiore di Terni. Ieri, dopo una lunghissima battaglia legale durata 13 anni, si è visto annullare la sanzione disciplinare per avere rimosso il crocifisso dalla classe durante le sue lezioni.
Quando nasce la questione del crocifisso?
“La vicenda inizia nel 2008. Dopo essere diventato papà e dopo alcuni anni ad insegnare in altre regioni, sono tornato a Terni. Quell’anno, insegnavo all’istituto superiore Casagrande. Ma per capire come nasce la vicenda occorre fare un passo indietro”.
Ci racconti.
“Uno o due anni prima ero stato nominato presidente di seggio al comune di Fornole Amelia, vicino Terni. Appena mi insedio tolgo il crocefisso dal seggio perché non è previsto tra gli arredi. Lo stato è laico e poi in alcune liste elettorali era presente perché il simbolo del crocefisso. È successo un casino. Provarono prima a destituirmi. Poi, la corte d’appello di Perugia mi diede ragione. Quando nel 2008 arrivo al Casagrande, nelle mie aule non era presente il crocifisso. Ma a fine settembre lo trovo appeso alla parete. Così mi rivolgo ai ragazzi e dico loro che, a parere mio, il crocifisso non è un simbolo includente e durante le mie lezioni lo rimuovevo per rimetterlo a posto alla fine. A questo punto, il preside scrive una circolare in cui impone il crocifisso nelle classi e io, che la consideravo illegittima, continuo a comportami allo stesso modo: non volevo fare lezione col crocifisso sulla testa”.
Con quali conseguenze?
“Il Cnpi (il Consiglio superiore della Pubblica istruzione) mi convoca a Roma e mi irroga una sanzione record: un mese di sospensione dal servizio e dallo stipendio. Sto nei Cobas e questa battaglia civile l’ho fatta con l’Uaar al mio fianco. Mi rivolgo al giudice del lavoro, che respinge il ricorso contro la sanzione disciplinare, e successivamente in appello con lo stesso risultato. Quindi arriviamo in cassazione con la sentenza di ieri”.
Perché lo ha fatto?
“Insegno per un motivo etico e ritengo che l’insegnamento debba essere una questione globale: insegnare in un luogo non connotato da un simbolo religioso è fondamentale. Ovviamente di qualsiasi religione. Sul crocifisso, in Italia, non c’è nessuna tradizione popolare, ma solo la strategia del ventennio fascista. Le circolari che lo prevedono sono del 1929, subito dopo la marcia su Roma. È innaturale che negli uffici pubblici ci sia”.
Lo rifarebbe?
“Lo rifarei assolutamente. Nel 2015 un’altra preside nelle mie aule mi ha fatto trovare il crocifisso. Io di contro, con la classe d’accordo, appendevo a coprire il crocifisso la Costituzione, che è inclusiva”.
Considera la sentenza della Cassazione una vittoria?
“Ho fatto ricorso per la pesantissima sanzione disciplinare che mi è stata imposta. Questa è stata considerata illegittima ed è stata cancellata. Per me è quindi una vittoria, una battaglia del diritto del lavoro per la laicità della scuola e dello stato che non può connotarsi con un simbolo religioso”.
Ma la sentenza non afferma il principio della discriminazione per la presenza in classe del crocifisso?
“Sono completamente soddisfatto ugualmente. La sentenza ripeto, ha cancellato, la sanzione disciplinare e stabilisce un principio: un dirigente non può imporre un simbolo religioso in classe. Cosa che, secondo me, riguarda tutti gli uffici pubblici. Sulla questione della discriminazione poteva essere più coraggiosa. La scuola è una comunità di relazione e non di imposizione. C’è il rischio che i simboli religiosi vengano vissuti da parte delle maggioranze come discriminatori nei confronti delle minoranze. E’ un pericolo per noi docenti che lavoriamo per una scuola libera”.