OFENA – “Occorre iniziare a fare chiarezza su una vicenda sommersa per lunghi anni a vantaggio di personaggi che non hanno nulla a che fare con il mondo dell’allevamento, da nord a sud dell’Italia, arrivati da tempo nella nostra regione, soprattutto nell’Aquilano, tanto da generare una decina di aziende fantasma”.
È l’appello contenuto in una nota a firma di Dino Rossi, allevatore di Ofena (L’Aquila) e coordinatore regionale dell’Associazione per la cultura rurale, in merito al fenomeno conosciuto come “mafia dei pascoli”: “Come diceva un noto politico: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!”, scrive Rossi.
“Il ‘progetto’ della mafia dei pascoli ha radici assai lontane, quando qualcuno pensò bene di far vivere sulla carta oltre 300.000 mucche, fantasma o arrivate a vivere fino 83 anni, per italianizzare il latte proveniente dai Paesi dell’est attraverso le grandi industrie italiane”, spiega nella nota.
Riassumendo parte della vicenda partendo dal riferimento di Rossi, secondo un’indagine condotta negli anni dai carabinieri del Nac, per giustificare la produzione annua comunicata alla Ue si truccherebbero i dati attraverso una particolare forma di criminalità organizzata che si accaparra ettari di pascoli per poi incassare dall’Europa, con il business delle quote.
E così, ogni anno, nel nostro Paese finiscono sul mercato 12 milioni di quintali di latte di provenienza sconosciuta ma spacciato come prodotto da mucche tricolore. Un surplus dannoso da dichiarare perché comporta lo sforamento alla produzione concessa dalla Ue all’Italia e costringe il Governo a vedersi trattenere gli incentivi agricoli e a dover anticipare le sanzioni che poi vengono recuperate con le multe per le quote latte agli allevatori. Multe che ammontano complessivamente a 4 miliardi di euro. I Carabinieri nell’informativa hanno ipotizzato ‘che alcuni soggetti – persone fisiche o giuridiche – abbiano potuto percepire indebitamente finanziamenti comunitari”. E hanno citato una relazione del 2003: ‘Sono state verificate ed appurate condotte irregolari da parte di determinati soggetti della filiera – ben individuati e individuabili – tese a conseguire illegittimi vantaggi economici sia diretti, in termini di elusione delle sanzioni connesse all’esubero rispetto alle quote assegnate, sia indiretti, in termini di evasione fiscale connessa alla mancata fatturazione”.
Per Rossi si tratta di “un danno enorme alla zootecnia, incalcolabile. Tutte le quote sono state trasformate in titoli, quei famosi titoli finiti in mano ad aziende fantasma, come le mucche vissute sulla carta 83 anni e per accedere ai fondi comunitari sono partiti all’arrembaggio nell’accaparrarsi gli usi civici di comuni compiacenti con l’aiuto di qualche associazione agricola. Ed ecco spiegato perché la carenza di territorio, in quanto tutte le aziende storiche avevano i propri terreni, ma il fenomeno delle mucche fantasma ha generato una grossa quantità di titoli attraverso le quote latte determinando la mancanza di territorio su cui spalmarlo”.
“Nel 2013 – aggiunge Rossi – in qualità di rappresentante del Cospa Abruzzo, ho presentato presso il comando compagnia carabinieri di Sulmona, alla presenza del Nucleo Antifrode Comunitarie, una querela per alcune minacce tramite una telefonata da un personaggio con un accento spiccatamente settentrionale, per alcuni articoli apparsi sulla stampa locale, ma dopo una breve indagine il caso fu archiviato dallo Procura aquilana”.
“Un fenomeno che sta già distruggendo il patrimonio zootecnico nazionale e che potrebbe compromettere ulteriormente la produzione di carne e di latte. Ma niente paura, in quanto a livello europeo stanno finanziando fabbriche per la produzione di latte e carne sintetica…”, chiosa Rossi.
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