Il pescarese, 54 anni, non aveva titoli per esercitare la professione: spariti anche 240mila versati dai clienti per i pagamenti
PESCARA. Tutti lo credevano un dottore commercialista regolarmente abilitato alla professione, e negli anni gli avevano affidato le pratiche delle loro aziende e soprattutto i pagamenti da effettuare per imposte, tasse e via discorrendo, confidando nelle sue capacità. Ma senza sapere che quel professionista tale non era, in quanto «esercitava abusivamente la professione di dottore commercialista in assenza di titoli e requisiti e, in particolare, senza esser iscritto al relativo albo professionale», come scrive il pm Andrea Papalia contestando a G.D.F., 54 anni di Pescara, l’esercizio abusivo della professione. Il velo, su queste presunte attività illecite, si alzò dopo la prima di una serie di denunce (tre nel giro di una ventina di giorni) che vennero presentate contro il sedicente commercialista.
Quattro sono le parti offese regolarmente costituitesi parti civili (assistite dagli avvocati Massimo Galasso, Francesca Gerina e Giulio Fierini) nel processo che entrerà nel vivo il prossimo 13 marzo, davanti al giudice monocratico Angelozzi, dopo la regolare ammissione delle prove.
I fatti si riferiscono ad un periodo che va dal 2018 al 2019 e la prima denuncia arrivò appunto il 30 aprile del 2019. Una querela che venne attentamente vagliata dal pm Papalia che diede incarico alla guardia di finanza di approfondire ogni aspetto della vicenda, anche perché i malcapitati di turno (titolari di aziende di settori diversi, presenti nel Pescarese e nel Chietino) non solo persero i loro soldi, ma si ritrovarono con imposte non pagate pur avendo dato precise disposizioni a riguardo al loro “commercialista”.
Truffa, furto e appropriazione indebita (oltre all’esercizio abusivo della professione) sono i reati dai quali dovrà difendersi l’imputato. In totale, le somme perse dalle parti offese si aggirerebbero intorno ai 240 mila euro.
Nel capo di imputazione la procura parla di artifici e raggiri messi in atto dall’imputato, «nell’intraprendere un rapporto professionale, spacciandosi quale abilitato all’esercizio della professione di dottore commercialista, senza in realtà esserlo, e così ricevendo l’incarico di consulente contabile tributario al fine di curare gli adempimenti fiscali e previdenziali della società…procurandosi l’ingiusto profitto consistente nei compensi corrisposti».
E stando sempre alle accuse contestate dal pm, l’imputato, «abusando del rapporto di consulenza intercorso» con le varie aziende cui avrebbe dovuto curare gli adempimenti, e «falsificando mediante apposizione della falsa sottoscrizione di contabili di bonifico e relative distinte, si impossessava delle predette somme accreditandoli sui conti correnti a lui intestati e comunque a lui riferibili». Ed è qui che, sommando le cifre evidenziate nei capi di imputazione, si arriva ai 240 mila euro di totale che costituirebbero i soldi persi dalle parti offese, naturalmente senza contare le somme non versate e dovute all’erario. Ed è questo forse uno degli aspetti più gravi per le aziende che si affidarono a questo “commercialista”: erano sicuri di aver ottemperato al pagamento delle tasse e dei tributi vari, ma quei soldi che l’azienda consegnava al sedicente professionista, prendevano una destinazione diversa, finendo, almeno questo è il teorema accusatorio della procura che ora dovrà essere vagliato dal giudice, nelle tasche dell’imputato, mentre a carico dei titolari delle aziende si aprivano contenziosi con l’Agenzia delle entrate e con gli istituti previdenziali.